domenica 29 marzo 2009

Benvenuto al vescovo Francesco

Poiché non riesco ad inserire il lettore video direttamente sul blog, vi rinvio al sito dell'Eco di Bergamo a cui si trova il video realizzato per dare il benvenuto al nuovo vescovo, proiettato sabato sera alla presentazione del CRE (io, per fortuna, ero assente, così non mi sono fatto problemi. Per capire perché me li sarei fatti, aspettate fin verso la fine...)

Eriberto me la paga...

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mercoledì 25 marzo 2009

Quarta Fase - La vendetta


Dal Corriere della Sera di oggi, articolo di Maria Teresa Meli. Fonte: Rassegna stampa PD

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sabato 21 marzo 2009

Catechetica

Riporto (una versione lessicalmente corretta e sintatticamente riordinata de) la riflessione che ieri sera ho proposto al gruppo adolescenti di quinta superiore degli Oratori di Scanzorosciate. Soprattutto perché è la prima volta che affronto da solo il gruppo, in quanto il curato cui di solito assisto era impegnato con i giovani.

Il brano evangelico su cui è stata costruita la riflessione è, come di costume quaresimale, Il Vangelo di Domenica, cioè la seconda parte del dialogo tra Gesù e Nicodemo.
Alla riflessione degli adolescenti è anche stato proposto il misterioso ed affascinante testo della lotta tra Giacobbe e Dio (Gn 32,23-33) e l'episodio dei serpenti velenosi nel deserto richiamato da Gesù stesso (Nm 21,5-9).

Nicodemo è un uomo colto, saggio, religioso. Capo di quei farisei - Giovanni usa, genericamente, Giudei - che già, dopo il difficile episodio della cacciata dal tempio, che Giovanni racconta poche righe prima, hanno in cuor loro di ucciderlo (Mc 11,15-18), esce di notte per confrontarsi con Gesù. Per discutere con lui; e non è una discussione facile. Il dettato spezzato del brano di Giovanni ci dipinge una vera e propria diatriba, un lungo confronto in cui si scontano incomprensioni e Gesù pone Nicodemo davanti alla verità poco per volta. Una lotta, come quella di Giacobbe con l'uomo/l'angelo/Dio raccontata in Genesi. Dio ha appena promesso a Giacobbe terra e pace tra lui ed il fratello Esaù, ma poco prima di attraversare il torrente Giacobbe viene fermato. Questo Dio incomprensibile, che sembra non lasciar realizzare ciò che promette (ci ricordiamo del Sacrifico di Isacco?), contro cui titanicamente cerchiamo di batterci e che non riusciamo a vincere. Non ci sono scappatoie. Le "cose terrestri", che pure Nicodemo e noi con lui fatichiamo a capire (nella prima parte del racconto di Nicodemo) sono le scintille di verità cui gli uomini, dal basso, riescono ad accedere. Si tratta dell'Alleanza (figurata dalle nozze di Cana), del Tempio, dei Profeti (i primi due momenti sono presentati nel capitolo precedente) e dello Spirito che soffia e fa rinascere dall'alto (confronta il brano magnificamente icastico e barocco di Ezechiele). In questo passo Gesù fa un salto radicale. Non si tratta più di "cose terrestri", ma di "cose celesti" (chi se non chi è sceso dal cielo ha visto il Padre?). "Cose celesti" che interrogano il problema radicale dell'uomo, quel Male, quella morte che ci tiene da Adamo ed in Adamo e contro cui, spesso cerchiamo di opporci con le nostre forze salvo poi prendercela con Dio se non ci riusciamo (Andrea P.). E sotto i riflettori finiamo noi, Popolo di Dio che perennemente vaghiamo nel deserto mormorando contro di lui, affamati ed esposti alle insidie; ad insidie contro cui non abbiamo soluzione. Soluzione se non quella di levare lo sguardo verso Colui che è innalzato. Per sopravvivere, non funziona concentrarsi sulla propria sopravvivenza tenendo lo sguardo in basso cercando di evitare i serpenti, ma guardando in alto. Guardando Dio che, in Gesù, non cancella il male - non accusiamo noi forse Dio perché non cancella il male dal mondo? - ma lo assume su di sé con tutto il suo obbrobrio. L'espressione agnello di Dio e l'infelice traduzione italiana di qui tollis peccata mundi ci allontanano dal senso originario di capro espiatorio che porta su di sé i peccati del mondo; è nell'assumere la più negativa delle condizioni umane, la morte, che Dio salva il mondo, ripurificando con il suo amore quello che con la nostra libertà abbiamo insozzato.
Il Figlio dell'Uomo non è venuto a giudicare il mondo, perché il giudizio di condanna è già l'incredulità di chi non accoglie la Luce. È l'indisponibilità a farsi incontrare dalla Luce ed a farsi amare (perché amare non è facile, ma farsi amare è tremendo), è la diffidenza ed il cadere nel peccato di Adamo ed Eva, che si sono fatti ingannare a credere che Dio sia contro l'uomo e la sua elevazione - come diceva il serpente - la condanna e l'inferno già in vita. Venire alla Luce, rinascere dall'alto, è quello che Gesù ci offre; è rinascere in Lui.

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giovedì 19 marzo 2009

Filaressa '09

Lentamente riprendo il ritmo delle escursioni in montagna, poiché il programma camminatorio per quest'estate si preannuncia intenso ed è bene arrivarci ben preparati (e il lunedì di Pasqua si ha in programma un'escursione tutt'altro che leggera); così, dopo un'uscita propedeutica sui colli d'Argon la settimana scorsa, ieri ho approfittato di un due ore e mezza-tre del pomeriggio per sgranchirmi le gambe su una delle cime più rapide dei dintorni, quella Filaressa che, pur sfiorando spesso nella celebre Selvinata (il segnavia 533 CAI-BG da Monterosso a Selvino, appunto) ho salito solo una volta in una torrida mattina di fine maggio del 2006; ben prima di avere questo blog, dunque, e quindi immagino che i miei lettori non ne siano informati.

Il sentiero parte da Nese di Alzano, ad onor del vero, ma penso che sia veramente insensato chi, salvo doversi allenare alla corsa in montagna, non inizi a calcare il sentiero dal forcellino di Monte di Nese, frazione di Alzano sugli 800 metri di quota, nei pressi del quale c'è un ampio e comodo parcheggio (quasi sempre vuoto, credo di averlo visto pieno solo un 25 aprile). Il segnavia è il numero 511 CAI-BG che in decisa salita punta all'insellatura tra il monte Filaressa sulla destra ed il monte Cavallo sulla sinistra, insellatura presidiata da una chiesetta e per la quale, oltre ad incrociare il già citato sentiero verde che porta a Selvino, passa anche il sentiero che scende a Poscante di Zogno (considerato il luogo d'origine del leggendario Pacì Paciana, non il discusso Centro Sociale di Bergamo ma ol Robin Hood dé la 'al Brembana). Evitando di scervellarsi cercando di interpretare i vetusti cartelli indicatori del CAI di Bergamo, quasi illeggibili, subito dopo la forcella dapprima si sale a sinistra seguendo le indicazioni poste dal CAI della Val Seriana, più recenti (511 Filaressa, mentre il 533 Selvino, ammesso che lo troviate, va ignorato in quanto raggiunge, stando basso, il Castello di Monte di Nese e prosegue di lì per Salmezza), per una strada bianca dalla pendenza notevole al cui termine si percorre a mezza costa una traccia di terra che attraversa dei pascoli.

A questo punto sono passati venti minuti scarsi dalla partenza, ma si ha un po' di fiatone perché si è macinato più di metà dislivello. Fortunatamente, nonostante il giallo di questa stagione che suggerisce come non sia poi molto che la neve s'è sciolta, questa pausa oltre a permettere di tirare il fiato è anche sufficientemente amena, e permette di osservare ad un tempo le ultime propaggini della Val Seriana a sinistra (e peccato per la foschia di ieri) e gli affioramenti rocciosi che caratterizzano la Val Brembana basse a sinistra (si riconoscono pieghe, guglie, anche una grotta).

Il sentiero riprende a salire stando sul crinale del monte, ma presto il segnavia, molto marcato, si stacca a destra e punta verso una rada macchia boscosa. Tradizionalmente io proseguo sul crinale, anche se mi rendo conto che la versione "ufficiale" del sentiero è più agevole e porta comunque, nel giro di cinque minuti, al bivio del sentiero. In questo tratto è sempre più evidente la natura dolomitica della Filaressa, con guglie rocciose che affiancano il sentiero e tra le quali talvolta ci si deve inoltrare. Il bivio non è di immediata identificazione. Il cartello metallico segna a sinistra per Salmezza, mentre su un sasso è segnata, con vernice sbiadita, una freccia, mentre si intravede l'indicazione Filaressa.

Io, seguendo la cosiddetta (da me) "Via Salmezza", seguo le indicazioni che portano ad abbassarsi velocemente lungo il dirupato versante nord della Filaressa, dove in questi giorni si trovano ancora rari depositi di neve; si rivolge un pensiero ed una preghiera al povero decenne precipitato e perito durante una colonia estiva degli anni sessanta, di cui il ricordo è mantenuto vivo da una lapide e si arriva all'evidente valico tra la Filaressa ed il Costone di Salmezza. Lungo questo tratto vengo distratto da alcuni fischi di rapaci, e riesco ad immortalare, come il servizio fotografico in allegato testimonia, una coppia - ok, se ne vede solo uno, ma ce n'erano due - di probabili falchi che volteggiano tranquilli e feraci. Qui inizia la parte più divertente della salita: ignorando le indicazioni per Salmezza di sale, aiutati da uno dei soliti cartelli indicatori, per il ripido sentierino che, sulla destra, rimonta l'arido versante; sentiero talmente ripido per cui, a volte, non si disdegna l'uso delle mani. La croce della Filaressa si vede spuntare sopra la nostra testa tra gli ultimi contrafforti rocciosi, ma il nostro sentiero preferisce lasciarla a sinistra fino ad infilarsi in un intaglio tra due rocce affioranti e, aiutati da una superflua corda metallica, tornare sul crinale a poche decine di metri dalla vetta, che si raggiunge in breve voltando a sinistra. L'attacco diretto alla vetta sembra - ma io non sono un arrampicatore - possibile, benché risulti non banale uscire in vetta per via dell'eccesso di zelo del gruppo escursionistico Paleocapa di Alzano che negli anni '70, oltre ad erigere la croce, ritenne anche di utilizzare la corda metallica a mo' di parapetto tutto attorno alla vetta.

La discesa lungo il sentiero standard è rapida e banale, ed in poco tempo si torna alla Forcella da cui all'auto. Tempo richiesto per il breve giro, considerato che non sono ancora al pieno della forma, un'ora e mezza.

Su Facebook (Facebook è il nuovo Space) ho caricato alcune delle foto della passeggiata, mentre come al solito metto a disposizione il tracciato di Google Earth per chi volesse replicare.

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domenica 15 marzo 2009

Dall'imagine tesa

Dall'imagine tesa
vigilo l'istante
con imminenza d'attesa -
e non aspetto nessuno:

nell'ombra accesa
spio il campanello
che impercettibile spande
un polline di suono -
e non aspetto nessuno:

fra quattro mura
stupefatte di spazio
più che un deserto
non aspetto nessuno:

ma deve venire,
verrà, se resisto,
a sbocciare non visto,
verrà d'improvviso,
quando meno l'avverto:

verrà quasi perdono
di quanto fa morire,
verrà a farmi certo
del suo e mio tesoro,
verrà come ristoro
delle mie e sue pene,
verrà, forse già viene
il suo bisbiglio

Clemente Rebora

E vorrebbe farmi credere che in realtà l'aveva scritta per una donna...

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sabato 14 marzo 2009

Su scomuniche, diritto canonico ed altre amenità siffatte/2

Un paio di mesi fa s'era scritto argomentando alla luce delle norme del diritto canonico a proposito della questione del ritiro della scomunica ai quattro presuli ordinati da Lefebvre, e sopratutto nei commenti avevo espresso dubbi sulla validità dell'atto (o meglio, più che sulla validità, sull'immediata riscomunica che, essendo latae sententiae, avrebbe dovuto avvenire). La lettera del Papa che tanto scalpore ha fatto sulla stampa dovrebbe chiarire la questione; alcuni commentatori hanno equiparato l'atto alla remissione delle reciproche scomuniche che papa Paolo VI ed il Patriarca Ecumenico Atenagora hanno concesso nel 1965.

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giovedì 12 marzo 2009

IDOLO!


Non vorrei portargli sfiga, come si dice, e probabilmente è un po' troppo irruente rispetto al mio modo di vedere la politica, ma Matteo Renzi ha tutte le carte in regola per diventare il mio idolo.
Benché faccia molto piacere che Franceschini e con lui il PD e con lui - si spera - l'Italia abbia riscoperto La Pira.

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martedì 10 marzo 2009

Malignità

Questa è una buona idea...

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Giovani per il Partito Democratico

I miei lettori più assidui si saranno accorti - con sospetto, magari - che è da diverso tempo che sulle mie pagine non trovano spazio le considerazioni politiche, che un tempo erano tanto frequenti dall'aver fatto diffondere, in università, l'equivalente antonomastico Casati-politica. In realtà, diversi fattori hanno concorso da un lato a non farmi trovare tempo ed argomenti da affrontare, dall'altro a sconsigliarmene l'opportunità, essendo stato abbastanza delicato il processo costitutivo dei Giovani Democratici e non essendo il caso che io intervenissi per così dire a gamba tesa nel dibattito; preoccupazione forse eccessiva, visto che al congresso mi sono stati fatti i complimenti per l'intervento in stile SG (ah, che facezia! - mi sa che non hanno frequentato molti congressi ex o post democristiani). Dunque un paio di riflessioni sul ruolo dei giovani nel partito, e del Movimento Giovanile nei confronti del Partito.

Io non so se sia vero, o sia soltanto retorica, che con il Partito Democratico molti giovani si sono avvicinati alla politica. Ne ho qualche esperienza, per quello che è successo al mio paese o per quello che si vede nel gruppo giovani della provincia, dove spesso approda qualcuno fiero di non provenire da un'esperienza precedente. Diamolo per buono; come bisogna "dare per buono" che, almeno un anno fa, con la sua nascita, il PD abbia riacceso "nell'aria" un certo interesse per la politica ed un certo entusiasmo per l'area di centrosinistra che prima era decisamente sotto i tacchi.

Anche nei quadri e nei dirigenti del partito, allora, c'è stata una massiccia iniezione di forze nuove ed anagraficamente giovani; basta pensare al trentenne Martina, segretario regionale, ed a tutta l'iniezione di giovani portavoce dei circoli territoriali. Iniezione talmente innovativa, per chi era abituato alla consueta gerontocrazia, da aver messo in secondo piano per molti mesi l'esigenza di un movimento giovanile di partito. Iniezione, e qui vengono le dolenti note, vista talvolta con sospetto da quanti, nei movimenti giovanili dei partiti fondatori, costruivano il loro cursus honorum dalla gavetta della spillatura di birra fino al "vertice" della direzione provinciale o regionale dei giovani, per poi riuscire ad introdursi, allo scoccare degli statutari trent'anni, nei quadri del partito vero. Molte incomprensioni degli ultimi mesi vengono proprio dal confronto delle due esperienze e dalla loro non semplice convivenza. Nella quale i "partitocratici" vedono con sospetto il movimento giovanile come "riserva indiana" (è l'infelice termine politichese), come una manovra del partito adulto per far giocare i bambini al partito come le bambine all'asilo giocano alle mamme, ed i "giovani veri" guardano di sottecchi i "partitocratici" perché vedono dietro di loro l'ombra e la mano dei grandi ("big", in maniera ancora più infelice era il lessico in voga tra i GdM) che vogliono assicurarsi la fedeltà dei notoriamente irrequieti movimenti giovanili.

Queste sono paure che bisogna avere il coraggio di superare; non perché tutte siano del tutto infondate, ma perché è sotto gli occhi di tutti che nessuno dei due approcci è in grado, esclusivamente, di affrontare il rinnovato e rinnovando atteggiamento dei giovani nei confronti della politica, della politica di centrosinistra in particolare, della politica del PD nello specifico. Pensare che basti l'iniezione di giovani della prima ora del PD per mantenerne vivo lo spirito innovativo e generazionale è chiudere gli occhi di fronte alle difficoltà che il partito ha vissuto da un anno a questa parte, e non voler vedere che la società è molto più vasta e meno definibile dei giovani che in buon ordine si impegnano sul loro territorio e nelle amministrazioni locali. Pensare che i "veri giovani" siano quelli che non vogliono "sporcarsi le mani" con cose pratiche, ma amano discutere del nulla per ore, fare un po' di casino alla prima manifestazione che capita ed appropriarsi del proprio spazio, andando a bussare alla porta del partito per chiedere fondi e per far riconoscere i propri dirigenti nell'organizzazione del partito vero con più o meno pretenziosi documenti di cittadinanza è dimenticare al tempo stesso che il fine della politica è il servizio per il bene comune, il che implica un lavoro pratico costante ed impegnativo, e che il mondo è pieno di associazioni, ma che se si aderisce ad un partito allora si deve esserne membri a tutti gli effetti, con i giusti diritti ma anche con tutti i doveri.

La sintesi che è stata trovata all'interno dei GD di Bergamo tra queste due istanze promette di costruire e rafforzare un movimento giovanile di partito e nel partito - anzi - sulla soglia del partito, aperto ad accogliere chi non ne fa ancora parte e ad avvicinare il partito stesso, spesso chiuso nella sua noiosa autoreferenzialità, al complesso e ribollente contesto sociopolitico odierno. Non è però, con la formula del "ma anche" che possiamo costruire l'identità dei Giovani Democratici bergamaschi, poiché abbiamo sperimentato in questo difficile anno del PD che il "ma anche" scivola facilmente nel "quindi niente". Dobbiamo profilare davanti al nostro sguardo un traguardo ed una strada da seguire; dobbiamo costruire un'identità ed una missione chiara per il nostro movimento giovanile.

È quantomai necessario e fondamentale ricordare che siamo giovani nel Partito Democratico: niente fraintendimenti, zone grigie o rischiosi doppi canali. Per quanto possa sembrare attraente, un modo diverso di presentarci sarebbe in primo luogo un inganno, secondariamente deleterio nei confronti di quanti hanno già messo la faccia con il partito ed hanno bisogno che il movimento giovanile stia al loro fianco, non che ne prenda pretestuosamente le distanze e li abbandoni al proprio destino. I giovani impegnati nel partito sono una risorsa ed una ricchezza che dobbiamo riconoscere ed a cui deve andare il nostro sostegno
Da questo primo punto fermo segue che siamo giovani per il Partito Democratico, e questa nostra condizione porta con sé una duplice responsabilità. Da una parte, che non dobbiamo chiuderci nell'autoreferenzialità della Giovanile, per quanto dolce e bello possa essere ritrovarsi tra pari; dall'altro, che il nostro contributo deve essere importante, e che per questo bisogna munirsi per parlare con voce autorevole nei confronti del partito adulto; e per farlo, è necessario un occhio di riguardo alla formazione, è necessario mettere a frutto le competenze che nella vita accademica e professionale molti di noi hanno ottenuto ed otterranno; e capacità e volontà per non demordere se, di fronte, si troverà un muro di gomma, perché deve essere consapevolezza del partito intero che i giovani non sono lì per giocare, ma per portare il loro vivo contributo.
E questo ci porta alla terza direzione della nostra prospettiva: noi dobbiamo essere Giovani democratici nonostante il Partito Democratico, cioè in piena autonomia politica. Per quanto la forma organizzativa rispecchi il contenuto politico, non sono uno che si appassiona alle richieste di autonomia organizzativa del movimento giovanile nei confronti del partito, che spesso è un modo in cui il partito, anche furbescamente, opera per anestetizzarci. L'unica vera autonomia di cui abbiamo bisogno e che richiediamo e che richiederemo, se necessario puntando i pugni, è l'autonomia politica, nella lealtà della dialettica interna del partito. La cosa più grave e più deleteria è che il partito metta, per così dire, il movimento giovanile in "amministrazione controllata", rendendolo funzionale alle sue logiche interne, che non temiamo di chiamare correntizie.

La politica del futuro è nostra, dobbiamo pretendere fiducia e dimostrare di meritarla.

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domenica 8 marzo 2009

Esercizi spirituali, s-cécc

Da un lato, per affrontare certe esperienze bisogna partire con una grande disponibilità a mettersi in gioco; disponibilità che fino a quest'anno non ho mai avuto, perché sì - gli anni scorsi cadevano sempre in mezzo alla sessione d'esami, ma forse quest'anno no? Gli è che bisogna sapersi dare delle priorità, e fino a che punto si è disposti a giocarsi per quello che si ritiene importante.
Dall'altro, in evi remotissimi avevo già vissuto l'esperienza degli Esercizi Spirituali; esperienza misurata all'età che avevo, ma impostazione affatto uguale. Anche perché, a ben vedere, i "nostri" preti escono dal seminario, e l'esperienza di esercizi che si fa lì è abbastanza uniformante. E quindi, va bene mettersi in gioco, ma più o meno sapendo - intuendo - percependo dove si sarebbe andati a parare. Perché, comunque, non è da me fare qualcosa - qualsiasi cosa - alla cieca. In questo dovrei forse imparare dai miei amici che sono venuti invece così, gratis.

Si parlava di preti - ed il primo scherzo da prete me lo tira don Poletti, un po' il boss delle politiche giovanili del vicariato; perché, per l'inatteso concorso di giovani agli esercizi, ci sono problemi di camere, e qualcuno s'ha da offrire per rinunciare alla camera singola, che garantisce discrezione e concentrazione, e si chiede a noi di Scanzorosciate, tra gli altri, e per alcune considerazioni capita, tra gli altri, anche a me. In camera con un amico, fin troppo socio, che si è capito da subito che sarebbe stato difficile fare trentasei ore di silenzio.

Dopo che, a cena, le suore iniziano a viziarci con dosi pantagrueliche di cibo, ed al tempo stesso ad intimorirci elencando spietate i mille allarmi che avremmo fatto scattare qualsiasi cosa avessimo toccato nell'eremo, incontriamo la prima meditazione e facciamo la conoscenza con il predicatore, don Loran vicerettore del teoquadriennio, e quindi in un certo modo il capo dei miei compagni di un tempo. Primo pensiero: se è prete da soli cinque anni e già gli è stata affidata questa responsabilità, si prevede una carriera non indifferente.

Attrazione turistica principale di Bienno, dove ci troviamo, è la statua dorata del Sacro Cuore che incombe sulla Valcamonica, in kitschissimo stile anni '30, a qualche minuto di salita dall'eremo, ed il giorno di sabato, dopo le intense meditazioni del mattino (che, per me, due meditazioni nel giro di due ore sono troppe, ma su questo in Co.Vi.Gi. non c'era consenso) ed il solito abbondantissimo esagerato pranzo, per alleggerirsi prendo l'iniziativa di salirci. Me ne sono partito in solitudine, sono salito per vie traverse ed ecco, proprio in vista del piedistallo, una cuffia bianca che garrisce al forte vento della valle. La suora ed il don mi precedono. Risalirò più tardi nel pomeriggio, dopo la confessione, insieme a Fabio - che ormai smania per parlare in libertà, e mi sembra più opportuno condurlo fuori, ché almeno e l'apparenza è salva e nessuno è disturbato.

Nonostante il cambio d'aria, sia a cena che nell'immediato dopo cena il silenzio scricchiola; anche perché, a mio modesto parere, un conto è la funzionalità del silenzio per le meditazioni ed il raccoglimento, un conto è il silenzio per il silenzio, che sarà anche un esercizio di continenza ma dopo un po' diventa sterile. Perché fare le facce a cena, ma non parlare, è più stupido che fare quattro parole, per quanto superficiali. Veglia serale ed adorazione notturna, dopo aver scelto (scelto!) il turno più assurdo, dalle tre e mezza alle quattro (che poi si prolunga, ma tanto svegli per svegli), che così fa dormire, almeno me che sono un abitudinario, malissimo, ed alle quattro e mezza la tentazione di stare in piedi e chi s'è visto s'è visto è forte. Anche se poi decido di riposare, ché l'ultima mattina necessita di attenzione, per il potente volo che dalla Creazione conduce fino alla Ricapitolazione di tutto in Cristo.

Nel video, una delle aguzz...suore che ci riempivano di cibo, che si cimenta nel tormentone degli esercizi, s-cécc!

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martedì 3 marzo 2009

Fisica Atomica e Molecolare

Non è per niente elegante darsi le arie; ma, insomma, saranno solo quattro crediti ma sono i primi quattro crediti della Laurea Magistrale. Tra l'altro, i primi ed ultimi crediti nella categoria Fisica della Materia, inseriti nei piani di studio per la "gentile" concessione del Ministero, e che non c'era e non c'è verso di eludere.

E, nonostante non fosse semplice restare seri, stretti tra il professore a sinistra e l'assistente a destra, che a momenti sembrava si stessero interrogando tra loro - e non voglio pronunciarmi su che voto si sarebbero dati, per carità di patria - sono anche riuscito ad imparare qualcosa. Durante l'esame.

So che detto così suona decisamente male, ma vedete voi cosa fare se, con aria soave e delicata balbuzie l'assistente ti chiede
Ecco, le vorrei fare una domanda su un argomento che non abbiamo affrontato; credo che abbia tutti gli elementi per rispondere. Prendiamo un benzene, e sostituiamo un idrogeno con un gruppo - non so - metile. Discuta i livelli energetici degli orbitali molecolari. ARGH!
Perché avevamo affrontato la molecola di benzene, durante le esercitazioni - gentilmente concesse da un mio collega, visto che il venerdì pomeriggio non è decisamente il momento di fare lezione - ma qui si richiede di pensare! (scandalo: solitamente non si richiede ad un essere umano di dare un esame e pensare allo stesso tempo, o perlomeno non è costume)

Non avrei mai pensato di doverlo dire (in realtà temo che mi capiterà ancora), ma per venirne fuori con una certa qual eleganza ho dovuto fare affidamento agli insegnamenti di Lui; in particolare, teoria delle perturbazioni per stati degeneri.

Si sono lasciati convincere.

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lunedì 2 marzo 2009

Di CFU e studenti

Chi studia all'università sa che non di solo pane vive l'uomo, ma piuttosto di CFU. Ogni cosa, dal difficilissimo corso annuale a sapere scrivere la tesi al computer (o, meglio, competenze informatiche acquisite durante la scrittura della tesi) prevede un corrispettivo, più o meno onesto, in termini di Crediti Formativi Universitari.

Di solito, ad un credito corrispondono otto ore, in teoria da ripartirsi tra lezioni esercitazioni ed ore presunte di studio, anche se non è mai molto chiaro quali siano i criteri effettivi, vista la disomogeneità delle accoppiate insegnamento-crediti; al punto che la versione più probabile dei fatti sia che il numero dei crediti sia direttamente proporzionale all'esigenza di fare, a fine dell'anno, cifra tonda.

Questa ampia digressione per dire che, comunque, se un esame vale quattro crediti, va studiato il tempo necessario a preparare quattro crediti. Ed ogni giorno in meno di studio è un'ipoteca sul voto finale, ed ogni giorno in più più che altro una perdita di tempo. Ecco, il corso di Fisica Atomica e Molecolare è un corso di quattro crediti, e lo studio era stato organizzato in maniera molto chiara: due giorni di studio generale, tre giorni di studio per l'esame scritto, esame scritto, un giorno di ripasso per l'orale, esame orale. Probabilmente c'era un giorno di meno nella preparazione dell'orale, rispetto all'optimum. Ma l'essere capitato tra i piedi il Carnevale Ambrosiano che ha dilatato i tempi tra scritti orali è stata una jattura. Perché uno non ha la coscienza di studiare per l'esame successivo, con questo in vista, ma dopo un po' non ha più voglia di mettersi sui libri e sui quaderni per rileggere annoiato, per l'ennesima volta, che l'elettrone sta circa dappertutto...

L'esame di domani sarà una liberazione da queste maledette molecole e da tutto il resto di questa roba da chimici

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domenica 1 marzo 2009

Quaresima

È un tempo prezioso e non facile, la Quaresima.
Il nostro cammino nel deserto.
Il nostro tempo di grazia
Il nostro tempo da dedicare alla carità, alla preghiera, alla conversione.

Che poi, ed i miei colleghi in Bicocca lo sanno bene, ho una predilezione per la Quaresima, anche per motivi personali.

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